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Faccio parte dell’Associazione Nolite Timere da qualche anno come volontaria e sono davvero grata per la possibilità che mi è stata data. “Solidarietà” è una parola che sentiamo spesso di questi tempi, ma non va data per scontata. La si deve imparare già da piccoli, insieme all’empatia e alla comprensione degli altri. Essere solidali significa essere altruisti, disposti ad aiutare gli altri nei momenti di difficoltà senza chiedere nulla in cambio. Ci sono molti modi per esprimere la nostra solidarietà e tra questi c’è l’adozione a distanza, precisamente ciò di cui si occupa l’Associazione Nolite Timere onlus da molti anni.
Basta veramente poco per prenderci cura dei nostri ragazzi e, per chi proprio non può permettersi una donazione economica, ma vuole ugualmente contribuire a fare del bene, può donare una parte del proprio tempo e della propria energia vitale ai nostri ragazzi diventando un volontario. Se facciamo questo, però, non dobbiamo aspettarci nessuna ricompensa, ma solo la soddisfazione di aver aiutato, poiché tutti hanno il diritto di vivere dignitosamente. E’ l’educazione alla solidarietà che contribuisce a renderci dei veri cittadini del mondo.
Margherita Iodice, volontaria
Con il passar degli anni ho imparato a conoscere i ragazzi ospiti della Cité des Jeunes Nazareth uno ad uno, e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa dentro. Anche se non trovo le parole per spiegarlo, so solo che la sera, quando sono a letto, il mio pensiero corre a loro e mi addormento felice. Tutte le volte che ho visitato la Cité, mi sono sentita in ogni istante a casa mia, non ho mai pensato un momento di voler tornare alla mia vera casa, MAI! Ricordo, in particolare, il giorno del rientro dalla
mia prima missione. Mi sentivo in preda a mille emozioni! Stavo percorrendo la stessa strada che mi aveva portato in quella splendida città, ma qualcosa era cambiato: c’erano sempre le persone che camminavano a piedi per strada, i bambini che tornavano da scuola, il traffico, la gente che ti salutava … ma perché allora ero triste se tutto era uguale? Perché la stessa strada che mi aveva condotto lì con tanta felicità, questa volta mi stava conducendo a casa.
Con un nodo alla gola, tra me e me pensavo: “come farò a raccontare a tutti questa esperienza?”. Raccontarla non è come viverla, non si provano le stesse emozioni. Allora pensai: “vorrei prestare i miei occhi a tutti quelli che mi chiederanno com’è
andata, così da far vivere loro quello che ho vissuto io, momento dopo momento, emozione dopo emozione”.
Francesca Pirozzi, volontaria
missioni 2008, 2012 e 2014
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